Social e privacy, la barriera invisibile

Sempre più frequentemente si parla della presenza a volte troppo invasiva dei social network nel nostro quotidiano. C’è  voglia di esserci, di apparire e al tempo stesso di vedere ed abbiamo sempre più bisogno di uno spazio nel quale comunicare. Scegliere di non esserci rischia di vederci “tagliati fuori” dalla comunità, tema molto delicato soprattutto per le nuove generazioni. In realtà ben prima di Facebook, si erano creati i presupposti per essere parte di un mondo “alternativo”, basti ricordare Second Life o tutte le chat che dieci anni fa servivano da contatto immediato, l’avvento di Facebook poi ha stravolto o consolidato alcune dottrine sociologiche alla base del social living. Avere un profilo è “un dovere”, essere rintracciabili lo è  altrettanto, si può  interagire a qualsiasi ora con il nostro noi virtuale, invadere e farsi invadere da informazioni, foto, sogni e tutto quanto si voglia. Bisogna però considerare che non tutti sono pronti a raccontarsi a 360 gradi, così come non tutti sono sufficientemente strutturati, specialmente i più giovani, a resistere a critiche, provocazioni o prese in giro a cui si è inevitabilmente esposti. Ultimamente, sempre più spesso, ci si domanda se sia giusto limitare l’uso dei social networks e se sia opportuno che il costume sociale imponga un sistema che la famiglia non è  in grado di governare od arginare. Non è facile dare una risposta, è un mondo  “nuovo” e risulta anche difficile comprendere a cosa porterà tutto questo. Il Garante della Privacy per il momento si è  espresso con un vademecum, evoluzione di quello del 2009 sulla social privacy che comprende quattro capitoli: “Facebook & co”, “Avvisi ai naviganti”, “Ti sei mai chiesto?”, “10 consigli per non rimanere intrappolati”, chiude il vademecum il glossario “Il gergo della rete”. È certamente una prima misura per indirizzare, educare ed armonizzare un fenomeno da non sottovalutare.