Wearable, gli indossabili alla riscossa

Qualche anno fa, le grandi aziende della telefonia hanno deciso, quasi all’unisono, di cominciare a produrre
gadget tecnologici di altissimo contenuto ovvero i primi smartwatch. Il più celebre e riconoscibile di quel
periodo era di certo lo smartwatch di Apple, in piena coerenza con la filosofia del brand, si presentava
come una bella innovazione ed un prezzo impegnativo, raccogliendo il consenso degli appassionati della
mela morsicata. Ecosistema in pieno stile Apple, buona interazione, design tipico Apple, e di certo un
prestigioso assistente al proprio servizio. Ben presto e sulla scia anche gli smartwatch di Huawei, Samsung,
Lg e di tanti altri brands, si sono affacciati sul mercato, con tutta la potenza di Android e la convinzione di
coinvolgere in un ulteriore step verso l’high-tech un ampio pubblico sempre più sensibile alle novità. Ma a
ben vedere questi primi smartwatch risultarono poco user friendly. Batteria dalla scarsa durata, con
l’obbligo di dover caricare anche l’orologio oltre al telefono, ingombro consistente (adatti a polsi magnum),
compatibilità con i servizi del sistema operativo non sempre ottimizzata (per farli “dialogare” con una
gamma di smartphone più ampia infatti, si scelse di sacrificare software più evoluto in favore di software
più compatibile). A parte poche, insignificanti scintille, i wearables (si chiama ormai così la categoria) non
raccolsero in quella prima ondata, i consensi che molti si sarebbero aspettati. Oggi la situazione sembra
cambiare, forse il mercato ha mostrato i suoi bisogni ed i produttori si sono presto adeguati, cominciando
con le band da polso. Senza troppi fronzoli e con un prezzo spesso inferiore ai 50 euro, i nuovi indossabili
comunicano al proprietario poche ma chiare informazioni: chi chiama, l’arrivo di messaggi o di mail, oltre a
monitorare il battito cardiaco, le calorie bruciate ecc. la grande durata della batteria poi è un ulteriore
conforto e vantaggio per l’utente.